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Author Topic: storia di una protesta  (Read 6493 times)

mahanimj

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storia di una protesta
« on: October 27, 2008, 06:51:25 PM »
Ad ora questo è il sito che spiega meglio (attraverso i documenti) quello che è la storia di questo movimento che è stato denominato "no-Gelmini"
http://www.articolo21.info/4388/editoriale/le-diverse-ragioni-della-protesta-una-mappa.html
Será que ainda vai chegar o dia de se pagar até a respiração? Pela direção que o mundo está tomando eu vou viver pagando o ar de meu pulmão...

mahanimj

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Una Voce Per La Protesta
« Reply #1 on: November 04, 2008, 10:40:07 PM »
Ho allegato a questa discussione alcuni documenti utili, visionateli (per chi ancora non li conoscesse) e se potete diffondeteli.
Grazie.

Dall'opuscolo d’informazione ostinata dei Collettivi di Scienze.
Quote
La ministra Gelmini dichiara indispettita ai giornali di non capire le ragioni della protesta che sta dilagando in tutte le università italiane. Rilascia inoltre altre strane dichiarazioni, smentendo di continuo il proprio stesso operato (vedi articolo di m.m.).

Evidentemente il ministro:
a) si è appena risvegliata da un lungo coma a causa del quale si è persa almeno quattro mesi di attività politica (ma allora chi ha firmato leggi e decreti?)
b) non legge i decreti che firma: si fida ciecamente dei colleghi Brunetta e Tremonti che scrivono le leggi senza di lei
c) sta mentendo, e con una certa spudoratezza.

Lasciando che il lettore opti per l’ipotesi che gli pare più realistica, cogliamo l’occasione per rammentare al ministro i principali problemi degli atenei italiani, confrontandoli col contenuto dei provvedimenti contestati (raccolti nella legge 133 del 06/08/2008).
1. L’Italia è fra gli ultimi Paesi dell'O.C.S.E. per investimenti nel sistema
della ricerca (0.9% del PIL rispetto al 2% della media Europea, il 2,5% degli USA, il 3% del Giappone).
Ma ecco il brillante intervento del governo (art. 13), che riduce complessivamente il Fondo di Finanziamento Ordinario (insieme degli investimenti pubblici) di 1,444 miliardi in 5 anni (2009-2013):
- 63 milioni nel 2008
- 190 milioni nel 2010
- 316 milioni nel 2011
- 416 milioni nel 2012
- 455 milioni nel 2013
2. L'Italia ha il corpo docente più anziano d'Europa. Solo il 20% dei docenti ha meno di 40 anni (Francia 45%, Germania 55%) e più del 57% ha più di 50 anni (Germania 29%, Francia 39%).
Per abbassare l'età media il ministro ha pensato bene di decretare (art. 66-7 della 133) il blocco del turnover (ogni cinque docenti che andranno in pensione, ne potrà essere assunto soltanto uno) per gli anni 2010-2011. Ovviamente ciò causerà un ulteriore invecchiamento del corpo docente, oltre a rendere drammatico il fenomeno della fuga dei cervelli: molti studenti brillanti
che ambiscono a una carriera accademica saranno costretti a emigrare, vista la totale assenza di prospettive in patria.
3. In Italia manca qualunque sistema di incentivazione del merito e disincentivazione della negligenza, col risultato che i solerti e bravi non sono premiati e i pigri e mediocri non sono puniti.
Dev'essere per questo che i tagli degli anni prossimi ricadranno su tutte le università indifferentemente, a prescindere da qualsivoglia criterio di virtuosità finanziaria, impegno didattico, numero di pubblicazioni...

Che strano: non sembra che la legge 133 concorra in modo sostanziale alla soluzione dei problemi dell'Università pubblica; parrebbe anzi che l'obiettivo sia di aggravarli in modo irreparabile affossando definitivamente una struttura già pericolante.
Come svelare l'arcano? Forse basta dare un'occhiata all'articolo 16 della 133: vi si dice che le università potranno trasformarsi, con un banale voto a maggioranza semplice del Senato Accademico, in fondazioni di diritto privato (con immediato passaggio, a titolo gratuito, di tutti i loro beni e immobili
nelle mani delle fondazioni stesse). L'ipotesi di privatizzazione appare remota? Mettetevi nei panni di un Senato Accademico costretto a far fronte alla diminuzione continua dei fondi e all'impossibilità di assumere nuovo personale. Voi che cosa fareste?
Delle due l'una: o l'art.16 è finito nella legge per caso, oppure dietro a tutti i provvedimenti c'è un disegno organico, neanche troppo celato: quello di distruggere l'attuale sistema universitario pubblico per sostituirlo con un sistema a doppio canale. Da un lato le università di serie A, quelle oggi dette “di eccellenza” che, potendo contare su un adeguato finanzamento anche da parte di soggetti privati, potranno sottrarsi al controllo statale: saranno le università per i ricchi, cioè quelli che potranno far fronte all'inevitabile aumento delle rette (oggi nelle università private ammontano a più di 5000 euro annuali). Dall'altro quelle di serie B, che non potranno divenire private e andranno incontro a un progressivo e drammatico degrado a causa della completa mancanza di risorse.
Cara Ministra, questa prospettiva ci spaventa moltissimo.
« Last Edit: November 04, 2008, 10:48:04 PM by mahanimj »
Será que ainda vai chegar o dia de se pagar até a respiração? Pela direção que o mundo está tomando eu vou viver pagando o ar de meu pulmão...

mahanimj

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storia di una protesta
« Reply #2 on: November 05, 2008, 03:31:47 PM »
Vi propongo un interessante articolo che mi ha fatto riflettere e che spero aiuti anche voi a riflettere:
http://www.carta.org/campagne/beni+comuni/15643

Alcuni estratti:
"Non credo che i cortei di mezza giornata siano le modalità adatte per generare questo cambiamento.
Anzi, ci danno l’illusione che stiamo facendo qualcosa e si sostituiscono ad altre forme di lotta più continuative, efficaci e rischiose [ad esempio, azioni dirette nonviolente, orientate alla non collaborazione attiva e alla disobbedienza civile].
«Noi la crisi non la paghiamo!»: altro tormentone di questi giorni. Ineccepibile, se vogliamo dire che non siamo disposti a tagli indiscriminati, mentre altri ambiti vengono risparmiati o addirittura allattati dal denaro pubblico [banche, Alitalia, eserciti…].
Ma quella in cui versiamo non è una crisi finanziaria, è una catastrofe sistemica.
E come tale potrà avere effetti pedagogici di apprendimento e di cambiamento in quanto, e se e solo se, toccherà tutti, proprio tutti. E ci costringerà a rivedere i nostri stili di vita, i consumi, il nostro rapporto deviato con le tecnologie e le comodità, i modi di intendere il successo e la competizione, le attuali visioni di produzione ed efficienza applicate ai sistemi educativi, la nostra capacità o meno di cooperare in situazioni di stress…"

"Quanto all’università, che cos’è oggi? Un sistema castal-feudale, immobile e fossilizzato, che utilizza le riforme per non cambiare struttura di potere e per autoconservarsi nella sua essenza. Un castello kafkiano, inframmezzato da oasi e nicchie ecologiche, per chi le sa creare e le trova. Sì, perchè ci sono anche bravi ricercatori e docenti che studiano e insegnano con passione, studenti intelligenti e desiderosi di capire.
Ma, in quanto sistema, quello universitario rappresenta soprattutto un colossale spreco di risorse pubbliche, regolato simultaneamente dal mercato globalizzato e da localismi familisti e clientelari, che produce [anche grazie alle lauree triennali, grande idea del centrosinistra] masse di ignoranti laureati e disoccupati.
E mentre noi protestiamo contro le fondazioni, vediamo parte dei rettori in stile Aquis che lavorano per farsi da soli le università di qualità e di eccellenza.
No, davanti a cose come queste non ci si può limitare a urlare una tantum in piazza. I problemi, purtroppo, non ce li hanno creati Maria Stella e Tremonti, ma molti di quelli che oggi fanno i cortei al nostro fianco, senza aver cambiato nulla di quel che pensavano, sempre pronti a risalire sul carro dei vincenti di domani.
Il 30 ottobre ho scelto anche di continuare a non collaborare a questa ennesima mistificazione."
Será que ainda vai chegar o dia de se pagar até a respiração? Pela direção que o mundo está tomando eu vou viver pagando o ar de meu pulmão...

vanev

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storia di una protesta
« Reply #3 on: November 05, 2008, 05:18:31 PM »
Sono solo parzialmente d'accordo con quello che dice quest'uomo, mi infastidisce il fatto che critichi e che poi se ne stia a casa. Non abbia soluzioni, mi sembra più uno sfogo che un'analisi costruttiva, affrontata mettendo nel calderone migliaia di cose differenti.
D'accordo con il fatto che il problema non nasce con Maria Star e che il sistema scuola sia mal messo da tempo, ma è comunque stato un sistema capace di formare delle persone, altrimenti non ce ne sarebbero di bravi ricercatori italiani in Italia e nel mondo. La riforma attuale non si occupa della scuola, ma cerca di passare la "patata bollente" a qualcun'altro immerso in un capitalismo che io reputo violento, senza garanzie da parte dello stato.
Finchè ci sono delle falle nel sistema, queste si possono risolvere, ma quando il sistema viene venduto a qualcun'altro e svanisce la possibilità di cercare un modo di affrontare i problemi collettivo (almeno c'è sempre stata la speranza), allora sì che ci si incazza perchè si fa un passo ed è molto difficile tornare indietro su questo.
Non è che si può fare una protesta per tutto, la si fa quando tutto quello che è successo è troppo. Poi io credo che almeno Berlinguer, la Moratti avessero un'ideologia, avessero un pensiero scolastico, pur criticabile, ma un ragionamento. Qui, io non vedo un ragionamento.
Le cazzatine della 137 che cambino, non cambino, non è che me ne importi tanto. Infatti, quello è uno specchio per allodole.
La 133 è la vera riforma della scuola e che teoria soggiacente c'è? Offrire al commercio e ai meccanismi del libero mercato l'istruzione.

E' normale poi che tra i ragazzi ci sia quello che fa la protesta e aveva votato Berlusconi, non mi sembra un grande scoop. In ogni protesta c'è sempre stato chi ne "approfitta". E poi lui dice che i giovani ora fanno finta di proteggere la scuola, ma io credo che la proteggano davvero. Nessun giovane è mai felice di andare a scuola, ma poi quando finisce è triste, sconsolato e qui è un po' come quando finisce la scuola. Finchè si ha qualcosa ce ne si lamenta, quando ci tolgono quel poco che c'è e non si sa bene dove si andrà a finire allora gli atteggiamenti cambiano.
Con questa protesta, se fatta bene, si aiutano anche i giovani a formarsi un pensiero critico, se è una protesta fatta bene. E' sicuramente una tappa per la nipote 16enne, ma le tappe hanno una valenza.

E' vero che una protesta di mezza giornata non risolve le cose, infatti la protesta della mezza giornata è solo la punta dell'iceberg di qualcosa che avviene come processo..o almeno su questo bisognerebbe dirigere l'attenzione. Un processo che deve coinvolgere tutti, mentre per ora mi sembra che gli studenti siano abbastanza chiusi nel loro habitat, ma credo per questioni d'esigenza cioè coinvolgere quanti più studenti si possa, visto che ancora molti non sanno bene cosa sia in maniera dettagliata questa riforma e anche chi lo sa è difficile da coinvolgere, visto che da anni anche l'università è qualcosa di molto individualistico.
In ogni caso, bisognerebbe far girare di più le informazioni su ciò che si organizza anche all'esterno. Mi è capitato proprio oggi che degli amici, di quelli "grandi", già laureati e precari dicessero "Ma avete già finito la protesta?". Manca un giro d'informazione che arrivi all'esterno, ma secondo me c'è la possibilità che si diffonda. Passando i calendari, i blog su altre piattaforme più grandi.
Se manca la speranza nella protesta, allora che si fa? E' solo l'inizio. Altre possibilità di protesta ci sono ancora, per ora la strada è sempre stata quella del pacifismo (visto anche il governo che abbiamo), tra un po' chissà...
Se il denaro crescesse sugli alberi a me capiterebbe un bonsai (Boris Makaresko).

I miei click

debora

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storia di una protesta
« Reply #4 on: November 05, 2008, 10:44:01 PM »
mi è parso che gli animi si stiano placando, che la rassegnazione stia invadendo gli spazi della protesta.
l'altro giorno al collettivo allargato Miceli ha detto che ormai non è più tempo di fare "informazione", ma che è tempo d'agire..
io non sono completamente d'accordo. I due progetti devono avanzare parallelamente, ci dev'essere un continuo coinvolgimento, ancora troppe persone sono disinteressate..
la protesta di piazza purtroppo non sortisce gli effetti sperati, sono convinta che le scelte d'azione di qst organizzazione siano più concrete, non anacronistiche..ma purtroppo solo gli studenti non possono fare tutto, c'è bisogno di maggior consenso.
si sta entrando in un momento di stasi perchè gli strumenti sono pochi e in effetti le istituzioni stesse non sanno bene come  agire.
parte del problema della 133 è il fatto di non essere una vera riforma perchè non si occupa di analizzare e risolvere le magagne dell'università, ma effettua tagli indiscriminati senza proporre altrenative o soluzioni..

mahanimj

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storia di una protesta
« Reply #5 on: November 07, 2008, 02:41:06 AM »
Dopo il consiglio dei ministri di oggi sono stati presi alcuni provvedimenti  ai quali, tuttosommato, io sono in parte favorevole...
http://www.carta.org/campagne/beni+comuni/15686

Vi invito a leggere una lettere inviata al movimento "onda anomala" da altre tipologie di movimenti antagonisti del governo attuale...per certi versi è illuminante e rasserenante, per altri da anche un po' di coraggio!!!
http://www.carta.org/campagne/grandi+opere/no+tav/15675
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mahanimj

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storia di una protesta
« Reply #6 on: November 10, 2008, 03:21:09 PM »
Un'iportante documento è stato stilato da alcuni referenti di scienze MFN.

Io l'ho letto e credo che vada diffuso!!!
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Frà..

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storia di una protesta
« Reply #7 on: November 11, 2008, 02:05:24 PM »
perfettamente d'accordo con maha!
...in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà...

mahanimj

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documenti da roma...
« Reply #8 on: November 17, 2008, 01:14:37 PM »
...manca quello sulla didattica reperibile a questo indirizzo:
http://www.uniriot.org/

qui c'è anche qualche intervista:
http://tv.repubblica.it/copertina/le-proposte-dell-onda/26391?video
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mahanimj

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Mozione Del Senato Accademico Approvata Il 13.11.2008
« Reply #9 on: November 19, 2008, 02:08:37 AM »
Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Torino, riunito in
seduta il 13 novembre 2008, mentre prende atto con soddisfazione dei pur
ancora assai limitati miglioramenti introdotti alla legge n° 133 dal
recente decreto del CdM, non può non denunciare una logica che, per un
verso, applica tagli indiscriminati al Fondo di Finanziamento Ordinario
delle Università e, per l'altro, incidendo pesantemente sul turn over,
blocca di fatto l'accesso alla carriera accademica e all'attività di
ricerca di molti giovani di talento e impedisce il necessario ricambio
generazionale, tanto più in un periodo in cui le cessazioni previste per
limiti di età saranno particolarmente numerose.

Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Torino segnala in
particolare la patente contraddizione fra la pretesa volontà di
introdurre forti elementi di valutazione meritocratica nei meccanismi di
finanziamento degli Atenei e la scelta invece di operare tagli di spesa
che non tengono minimamente conto dei valori espressi dalle singole
Università, dei risultati da esse raggiunti in termini di quantità e
qualità dei prodotti di ricerca, e della scrupolosità dei bilanci
soprattutto il relazione al rispetto del tetto del 90% sull'FFO delle
spese per il personale.
L'Università di Torino in questi ultimi anni, pur essendo il più
sottofinanziato fra gli Atenei italiani, con notevole sacrificio di  tutte
le sue componenti, ha chiuso sempre entro il mese di novembre  bilanci
ineccepibili, ha rispettato largamente il limite del 90%, si è  dotata di
un piano organico esteso dal 2002 al 2012 che ha permesso alle  Facoltà di
impiegare con serenità e corretta programmazione le proprie  risorse e
all'Ateneo di rinnovare di più di un terzo il corpo docente  privilegiando
in larga percentuale i concorsi per ricercatore, si è  collocata in tutte
le classifiche ai primissimi posti in Italia per  qualità della didattica
e della ricerca ottenendo fra l'altro due anni  or sono dal CIVR
valutazioni eccellenti in pressoché tutti i settori  disciplinari
attivati.

Ora tutto ciò rischia di risultare inutile rispetto alle logiche di
finanziamento che non prevedono che modestissime premialità per chi si è
distinto per correttezza e produttività e ostacolano fortemente
l'accesso di nuove leve ai quadri della ricerca.

Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Torino esprime
inoltre il proprio forte disagio di fronte a un'estesa campagna di
disinformazione, che procedendo da singoli, quanto mai deprecabili  seppur
contenuti episodi, tende ad accreditare l'immagine di un sistema
universitario in toto corrotto, sprecone e poco produttivo, attribuendo
in questa logica distorta al sistema universitario anche colpe
attribuibili ad altri. Se ad esempio i corsi di laurea sono proliferati
ciò lo si deve in primo luogo all'applicazione del sistema del 3+2 che  ha
determinato sic et simpliciter il raddoppio dei corsi. E se, ad  esempio,
sono aumentate esponenzialmente le sedi decentrate ciò nella  stragrande
maggioranza dei casi è avvenuto per volontà politica espressa  oltre 10
anni fa non sempre in armonia con la volontà degli Atenei per i  quali il
decentramento rappresenta per lo più un pesante onere e non una  risorsa
di bilancio.

Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Torino è pronto a
continuare ad offrire tutto il proprio contributo alla riflessione su
nuovi e più funzionali meccanismi concorsuali, su nuove modalità di
finanziamento che pongano come primo criterio discriminante una seria
valutazione degli Atenei, su correzioni opportune alle strutture di
governance, a patto che tutto ciò significhi davvero riqualificazione  del
sistema universitario pubblico, l'unico che il debole tessuto
socioeconomico del nostro Paese può sostenere, e a patto che ciò
significhi attenzione verso le nuove generazioni di ricercatori, di
dottori di ricerca, di specializzati speso di altissimo livello, la cui
formazione è costata allo stato centinaia di migliaia di euro e che ora
sono costretti ad emigrare verso paesi più fortunati e attenti alle
opportunità della ricerca, oppure a sopravvivere a stento con contratti
precari e con retribuzioni irrisorie, con uno spreco, questo sì immane,
di risorse da parte di uno stato insensibile e miope.
Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Torino si augura che
il nuovo decreto, i cui effetti reali sono ancora tutti da verificare,
rappresenti soltanto un primo timido passo verso un'attenzione molto più
lungimirante rispetto a ciò che lo sviluppo degli studi universitari e  il
progresso della ricerca rappresentano per il futuro di ogni paese e,
nello specifico, per un Paese come il nostro che soltanto nella ricerca  e
nell'innovazione può trovare le energie e gli strumenti per sostenere  le
sfide globali di questi tempi.

Tutto ciò ribadendo che il patrimonio di conoscenze dell'Università è un
bene pubblico inalienabile, bene comune di tutta la Nazione come sancito
dalla Costituzione. La cultura di livello universitario, la ricerca
scientifica, la didattica di secondo e terzo livello e la conservazione
del patrimonio scientifico acquisito sono primariamente competenza di un
solido Sistema universitario nazionale pubblico, anche se ogni
intervento privato o locale con finalità compatibili deve essere
altamente apprezzato, specialmente per favorire ogni possibile
valorizzazione sociale ed economica dei saperi scientifici di alto
profilo. Gli orizzonti della ricerca scientifica devono poter andare oltre
 l'applicazione immediata e la realizzazione di vantaggi pratici a breve
termine. Il consolidamento e la crescita della cultura scientifica sono
vitali per l'intera Nazione e le linee generali di una buona
organizzazione unitaria e i finanziamenti adeguati per Università devono
essere primariamente garantiti dallo Stato.
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mahanimj

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storia di una protesta
« Reply #10 on: January 11, 2009, 02:13:21 PM »
"IL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO: RESIDUATO ANTI-STORICO O GARANZIA DI UGUAGLIANZA TRA CITTADINI?

Ferdinando di Orio
Rettore dell'Universita' degli Studi dell'Aquila

       L'ordine del giorno presentato dalla Lega Nord e approvato ieri in
Parlamento che vincola il Governo all'abolizione del valore legale del
titolo di studio, non puo' non preoccupare fortemente tutti coloro che
abbiano a cuore le sorti del sistema universitario pubblico. A maggior
ragione, se rappresenta l'avvio della fase due di riforma dell'Universita'
piu' volte annunciata dal Ministro Gelmini.        Una preoccupazione che deriva sia dal merito della questione sia dalle
motivazioni con le quali e' stata affrontata che - ahime' - sono state in
parte condivise anche dall'opposizione che ha ritenuto questo punto "un
buon inizio per una riforma del sistema universitario basato sul merito,
sulla qualita' dell'insegnamento e della ricerca".
       Il valore legale del titolo di studio viene individuato come la causa di
formalismi e rigidita' che pesano sul nostro sistema universitario e che,
secondo le dichiarazioni di Paolo Grimoldi della Lega, primo firmatario
dell'ordine del giorno, determinano la "falsa concorrenza agli atenei del
Nord da parte delle universita' meridionali che si sono trasformate in
laureifici".        La sua abolizione indurrebbe, invece, una concorrenza virtuosa tra Atenei
che darebbero sempre maggiore importanza alla qualita' della didattica,
attraendo le matricole ad iscriversi in quelli sedi universitarie che
godono di maggior prestigio in tal senso. La mancanza, inoltre, della necessita' del "pezzo di carta" per accedere al
mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle
Universita' solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un
conseguente miglioramento dell'offerta formativa.
Queste motivazioni sembrano tuttavia dimenticare che l'Universita' italiana
gia' compie una spietata selezione degli studenti in funzione di varabili
che poco hanno a che vedere con il merito in senso stretto (si laurea
l'81,4% di studenti con genitori laureati, il 59,6% con genitore diplomati,
il 41,8% con genitori con la licenza media, il 30,2% con genitori con la
licenza elementare) e che il nostro Paese non puo' assolutamente
permettersi di continuare ad essere la cenerentola del Paesi OCSE nel
numero di laureati (solo il 17% della popolazione tra i 24 e i 34 anni ha
conseguito una laurea a fronte di una media OCSE del 34%).        Invece di escogitare incentivi per motivare i giovani a frequentare
l'Universita' e per aumentarne il successo negli studi universitari, si
rincorrono espedienti per demotivarli ulteriormente e condannare il nostro
Paese ad un inarrestabile declino culturale.
       Espedienti che, peraltro, hanno il vizio sostanziale di ritenere che
l'abolizione del valore legale del titolo di studio possa magicamente
sanare tutti i problemi e le distorsioni presenti nell'Universita' italiana.        In realta' cio' determinerebbe esclusivamente una liberalizzazione del
sistema formativo che, accompagnata dalla sua privatizzazione,
comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in
un "mercato formativo" fatalmente influenzabile da logiche economiche. Con
la conseguente necessita' di istituzione di un sistema in grado di
verificare la qualita' dell'insegnamento di ogni sede, certificando
percorsi formativi e contenuti didattici. Così un provvedimento nato per
garantire il superamento di "formalismi e rigidita'", comporterebbe di
fatto una ulteriore burocratizzazione dei percorsi formativi e di tutta
l'attivita' universitaria.        La sostituzione del valore legale del titolo di studio con un sistema di
accreditamento degli Atenei, trasformerebbe una garanzia "in uscita" verso
il mondo del lavoro in un prerequisito "in ingresso" nel mondo
dell'Universita', con un corto-circuito logico che, classificando gli
Atenei in diverse categorie di eccellenza, finirebbe per discriminare gli
studenti fin dall'accesso nelle Universita', con una chiara violazione sia
del dettato costituzionale sia delle direttive comunitarie - recepite
peraltro dal decreto legislativo 206/07 - secondo le quali i paesi membri
dell'UE sono tenuti a riconoscere il valore legale di titoli e qualifiche
di ciascun altro paese.        In realta' il valore legale del titolo di studio rappresenta, in un
sistema di generale precarizzazione del mondo lavoro, la migliore garanzia
in grado di assicurare reali condizioni di uguaglianza per tutti i
cittadini nell'accesso al mondo delle professioni. Il sospetto e' che il
vero obiettivo non sia tanto il miglioramento della qualita' della
didattica e della ricerca universitarie quanto piuttosto l'ulteriore
liberalizzazione proprio del mercato del lavoro."
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