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La ministra Gelmini dichiara indispettita ai giornali di non capire le ragioni della protesta che sta dilagando in tutte le università italiane. Rilascia inoltre altre strane dichiarazioni, smentendo di continuo il proprio stesso operato (vedi articolo di m.m.).Evidentemente il ministro:a) si è appena risvegliata da un lungo coma a causa del quale si è persa almeno quattro mesi di attività politica (ma allora chi ha firmato leggi e decreti?)b) non legge i decreti che firma: si fida ciecamente dei colleghi Brunetta e Tremonti che scrivono le leggi senza di leic) sta mentendo, e con una certa spudoratezza.Lasciando che il lettore opti per l’ipotesi che gli pare più realistica, cogliamo l’occasione per rammentare al ministro i principali problemi degli atenei italiani, confrontandoli col contenuto dei provvedimenti contestati (raccolti nella legge 133 del 06/08/2008).1. L’Italia è fra gli ultimi Paesi dell'O.C.S.E. per investimenti nel sistemadella ricerca (0.9% del PIL rispetto al 2% della media Europea, il 2,5% degli USA, il 3% del Giappone).Ma ecco il brillante intervento del governo (art. 13), che riduce complessivamente il Fondo di Finanziamento Ordinario (insieme degli investimenti pubblici) di 1,444 miliardi in 5 anni (2009-2013):- 63 milioni nel 2008- 190 milioni nel 2010- 316 milioni nel 2011- 416 milioni nel 2012- 455 milioni nel 20132. L'Italia ha il corpo docente più anziano d'Europa. Solo il 20% dei docenti ha meno di 40 anni (Francia 45%, Germania 55%) e più del 57% ha più di 50 anni (Germania 29%, Francia 39%).Per abbassare l'età media il ministro ha pensato bene di decretare (art. 66-7 della 133) il blocco del turnover (ogni cinque docenti che andranno in pensione, ne potrà essere assunto soltanto uno) per gli anni 2010-2011. Ovviamente ciò causerà un ulteriore invecchiamento del corpo docente, oltre a rendere drammatico il fenomeno della fuga dei cervelli: molti studenti brillantiche ambiscono a una carriera accademica saranno costretti a emigrare, vista la totale assenza di prospettive in patria.3. In Italia manca qualunque sistema di incentivazione del merito e disincentivazione della negligenza, col risultato che i solerti e bravi non sono premiati e i pigri e mediocri non sono puniti.Dev'essere per questo che i tagli degli anni prossimi ricadranno su tutte le università indifferentemente, a prescindere da qualsivoglia criterio di virtuosità finanziaria, impegno didattico, numero di pubblicazioni...Che strano: non sembra che la legge 133 concorra in modo sostanziale alla soluzione dei problemi dell'Università pubblica; parrebbe anzi che l'obiettivo sia di aggravarli in modo irreparabile affossando definitivamente una struttura già pericolante.Come svelare l'arcano? Forse basta dare un'occhiata all'articolo 16 della 133: vi si dice che le università potranno trasformarsi, con un banale voto a maggioranza semplice del Senato Accademico, in fondazioni di diritto privato (con immediato passaggio, a titolo gratuito, di tutti i loro beni e immobili nelle mani delle fondazioni stesse). L'ipotesi di privatizzazione appare remota? Mettetevi nei panni di un Senato Accademico costretto a far fronte alla diminuzione continua dei fondi e all'impossibilità di assumere nuovo personale. Voi che cosa fareste?Delle due l'una: o l'art.16 è finito nella legge per caso, oppure dietro a tutti i provvedimenti c'è un disegno organico, neanche troppo celato: quello di distruggere l'attuale sistema universitario pubblico per sostituirlo con un sistema a doppio canale. Da un lato le università di serie A, quelle oggi dette “di eccellenza” che, potendo contare su un adeguato finanzamento anche da parte di soggetti privati, potranno sottrarsi al controllo statale: saranno le università per i ricchi, cioè quelli che potranno far fronte all'inevitabile aumento delle rette (oggi nelle università private ammontano a più di 5000 euro annuali). Dall'altro quelle di serie B, che non potranno divenire private e andranno incontro a un progressivo e drammatico degrado a causa della completa mancanza di risorse.Cara Ministra, questa prospettiva ci spaventa moltissimo.